16 settembre 2020
Consecutio tra procedure concorsuali minori: l’accordo di ristrutturazione dei debiti nella fase esecutiva del concordato preventivo
L’innesto di un accordo di ristrutturazione dei debiti all’interno della fase esecutiva di un concordato preventivo è l’oggetto della proposta, senza precedenti noti, avanzata da una società a responsabilità limitata al Tribunale di Padova, e da quest’ultimo accolta con pronuncia del 17 gennaio 2020, n. 306.
Nello specifico la proposta di concordato e il piano omologati prevedevano che la società debitrice in un lasso temporale di cinque anni si procurasse ingenti attività per il tramite della liquidazione di immobili e dei flussi generati dalla continuità aziendale, così da pagare integralmente i crediti prededucibili, ipotecari e privilegiati, sulla base della transazione fiscale i crediti erariali e previdenziali, e parzialmente i crediti chirografari.
Tuttavia, le prospettive di realizzo dell’attivo non si sono realizzate e per l’effetto la società ha dovuto constatare l’incapacità di rispettare la proposta di concordato così come omologata. Di conseguenza, prima dello scadere dell’arco di Piano, la società ha proposto al Tribunale competente di poter risanare la propria azienda attraverso un accordo di ristrutturazione dei debiti, contenente un’operazione societaria, corredato da un’ulteriore transazione fiscale. Tale operazione è stata possibile principalmente grazie all’intervento di un investitore, che, in prima battuta, ha acquistato i crediti bancari, surrogandosi nei diritti delle banche nei confronti della debitrice; in un secondo tempo, attraverso un aumento di capitale, è entrato a far parte della società e, in ultimo, ha rinunciato alle garanzie connesse ai crediti acquistati, a seguito della conversione di questi ultimi in finanziamento soci. All’accordo hanno aderito l’investitore, gli Enti Erariali e gli Enti Previdenziali raggiungendo da soli il 60% dei crediti; con conseguente pagamento integrale (rectius già stralciato per mano della procedura concordataria) dei creditori chirografari rimasti estranei a tale operazione e con chiusura anticipata del concordato preventivo.
Ebbene, il Tribunale di Padova ha accolto la soluzione proposta dalla società debitrice ritenendo che l’art. 185 L.F., che disciplina l’esecuzione del concordato preventivo, non è ostativa alla conclusione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis L.F.: ovvero, il debitore può decidere di adempiere agli obblighi assunti con la proposta di concordato ricorrendo, qualora ne ravvisi la necessità, anche ad un accordo di ristrutturazione dei debiti.
All’atto pratico, secondo il Tribunale in parola, il debitore può avviare una nuova negoziazione con i creditori concorsuali volta ad apportare le modifiche necessarie all’adempimento del concordato preventivo dovendo, però, ottenere almeno l’adesione da parte del 60% dei crediti, in considerazione dell’entità dei crediti come falcidiati per effetto dell’omologa del concordato preventivo.
Tale pronuncia si inserisce, invero, in un quadro giurisprudenziale relativo alla materia della consecuzione tra procedure concorsuali minori non omogeneo.
A tale proposito, tra le altre decisioni finalizzate a censurare in ogni caso gli abusi nel ricorso a più strumenti concorsuali, giova porre luce su una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Cass. Civ. del 10 aprile 2019, n. 10106) che, rilevando l’ammissibilità della consecuzione delle procedure concorsuali minori, ha enunciato un principio di portata generale attraverso il quale da un lato ha espresso il proprio favore nei confronti delle iniziative del debitore volte al superamento della crisi e dall’altro ha suggerito agli organi giudicanti una valutazione di tali iniziative priva di pregiudizi. Più precisamente, “deve essere riconosciuta la possibilità per l’imprenditore, fino alla dichiarazione di fallimento, di comporre, con tutte le modalità consentite dall’ordinamento, la crisi della propria impresa, in quanto finalità meritevole di tutela, perché più conveniente non solo per un interesse giuridico-patrimoniale personale ma anche e soprattutto per il ceto creditorio, rispetto alla soluzione di apertura della procedura fallimentare”, tenuto conto, in ogni caso, del limite dell’”abuso dei mezzi processuali”.
A ben vedere, peraltro, poiché l’omologazione, chiudendo la procedura concordataria, comporta che il debitore sia formalmente in bonis, seppur sotto il controllo del commissario giudiziale, appare plausibile la possibilità dello stesso di poter tornare in uno stato di crisi, con margini di superabilità, causato dall’impossibilità di poter adempiere a pieno al concordato preventivo.
Del resto, anche il legislatore sembra mostrare cenni di apertura in questo senso: l’art. 58, comma II, CCI, con riferimento agli accordi di ristrutturazione, permette al debitore di apportare unilateralmente modifiche sostanziali al Piano dopo l’omologazione.